Per i torinesi non è una novità: viali e controviali sono tappezzati di manifesti della mostra Vivian Maier. Inedita, inaugurata qualche settimana fa e in esposizione nelle Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino fino al 26 giugno. Oltre 250 imagini, quasi tutte mai esposte o rarissime, compresa una sezione a colori e dieci filmati in Super 8 girati da Maier, due audio con la sua voce e alcuni oggetti (una macchina fotografica, dei cappelli) che le sono appartenuti. Negli ultimi anni si è parlato tanto di questa fotografa, considerata una pioniera della street photography negli anni '50, ma totalmente sconosciuta fino a una decina di anni fa. Perché una fotografa di così grande talento è rimasta nell'ombra per così tanto tempo? Vi raccontiamo la sua storia...
Vivian Maier, fotografa di professione tata
Nata a New York nel 1926 da madre francese e padre austriaco, fin dall’adolescenza, lavora come bambinaia per famiglie benestanti. Nel 1951 acquista la sua prima Rolleiflex; da allora la tata si trasforma in discreta osservatrice del mondo, cogliendo la quotidianità delle strade americane che percorre, non mancando di seminare tracce della sua presenza dietro l’obiettivo (non solo street photographer, ma precorritrice dei selfie).
Nel 1959 intraprende, da sola, un viaggio di sei mesi che la porta in Canada, in Egitto, nello Yemen, in Thailandia, in Italia e in Francia: non disse mai a nessuno dove fosse stata, compresa la famiglia Gensburg, per la quale lavorava e che fu costretta a trovare una sostituta per quel periodo. Quando Vivian Maier muore, il 21 aprile 2009, quasi nessuno è a conoscenza della sua immensa produzione fotografica. Perché Vivian consumò decine e decine di rullini, ma delle centinaia di foto scattate, ne sviluppò solo poche e non sentì mai la necessità di uscire allo scoperto: la fotografia per lei era una ricerca tutta privata, una collezione di immagini e di momenti, di dettagli di gesti, di oggetti, scene ordinarie, ritratti. «Ho scattato così tante foto per riuscire a trovare il mio posto nel mondo» diceva, approfittando delle libertà che il lavoro da bambinaia le concedeva.
Il suo tentativo di “trovare un posto nel mondo” sembra realizzarsi nell’atto di collezionare e preservare
momenti, mettendosi da parte, facendo dell’atto della fotografia, forse, un promemoria concreto della sua presenza e lasciando, nel frattempo, la parola ai suoi soggetti. Anche i suoi autoritratti sono spesso solo allusioni: un riflesso, l’immagine in un’immagine, il profilo della sua ombra, una traccia delicata del suo esserci in un certo luogo, in un preciso momento.
Se la sua cultura visiva è quella della street photography americana, la rappresentazione dei soggetti sembra rifarsi al linguaggio della fotografia umanista: delle persone vengono colte emozioni, attitudini personali, legami.
La scoperta di un tesoro
Per il ritrovamento di questa immensa produzione fotografica bisogna ringraziare il giovane agente immobiliare John Maloof che nel 2007, alla ricerca di materiale per un libro sulla di San Francisco, aveva acquistato a scatola chiusa il contenuto di un box venduto all’asta a causa del mancato pagamento dell'affitto da parte dello sconosciuto proprietario.
SI ritrovò tra le mani decine e decine di fotografie e centinaia di rullini mai sviluppati, di un artista sconosciuto o sconosciuta!
Fu solo nell’Aprile del 2009 che Maloof trovò il nome di Maiera su una busta di pellicole e negativi: da lì, infelicemente, risalì al suo necrologio, scritto pochi giorni prima dai fratelli Gensburg, che decise di incontrare. Da allora è cominciato il lavoro di ricostruzione dell’opera dell’artista, culminato in Finding Vivian Maier, la prima mostra organizzata al Chicago Cultural Center nel gennaio 2011, seguita dall’omonimo documentario del 2013.
Lo spirito del tempo
Si può dire che se l'intento di Maloof era raccontare la storia della città ebbe una grande fortuna! La fotografia di Maier, infatti, non si distingue solo per il grande occhio e il gusto nell'immortalare persone e momenti, ma è anche un documento in grado di raccontare la quotidianità e di cogliere lo spirito del tempo. Per questo Vivian Maier ad oggi è considerata una delle più grandi esponenti della street photography : realismo, spontaneità, sensibilità per cogliere e raccontare l'attimo sono caratteristiche fondamentali che accomunano la street photography al genere reportage.
La street photography è la vostra passione?
Nel prossimo articolo parleremo più nello specifico di questo genere e vi daremo preziosi consigli per immortalare l'attimo.
Intanto se ancora non l'avete fatto prendete ispirazione dalle meravigliose immagini di questa grande fotografa e andate a vedere la sua mostra.
Stay Tuned!
Grazie
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