L’antro dell’Alchimista. Ho sempre definito in questo modo quel luogo talvolta buio, talvolta
illuminato da luce attenuata e colorata.
Un luogo che “sa” di acido, un odore che a molti porta alla coscienza ricordi di molti anni fa.
Un luogo in cui il tempo sembra rallentare, dove la fretta non può essere di casa. È come
avvicinarsi a un buco nero nello spazio profondo, dove il tempo scorre più lento e un’ora trascorsa là dentro equivale a una notte intera per il resto del mondo.
La Camera Oscura, fino a pochi anni fa, era l’unico luogo in cui venivano alla luce le fotografie, il prodotto tangibile delle nostre idee. Chi ha vissuto quel periodo ricorda bene la procedura per fare fotografia.
Si partiva dal caricamento della macchina fotografica con la pellicola (a colori o in bianco e nero, negativa o invertibile). Il rullino da 24 o 36 pose (!) veniva quindi esposto, riavvolto e portato in laboratorio per lo sviluppo e la stampa dei provini in formato10x15 cm
Seguiva la scelta delle immagini degne di essere trasformate in stampe di dimensioni più
importanti e quindi la stampa definitiva e il montaggio su cornice.
I più intraprendenti avevano il proprio antro alchemico in cui trattavano personalmente lo
sviluppo della pellicola e la stampa delle fotografie, soprattutto il bianco e nero, più facilmente gestibile in ambito casalingo).
Da un certo punto di vista non è cambiato molto: da qualche anno lavoriamo con schede di
memoria da “riempire” con le nostre immagini; “sviluppiamo” i file grezzi (RAW) al computer e scegliamo le fotografie degne di essere trasferite su carta, oppure di essere pubblicate sui vari canali web.
Non è né più facile né più difficile: è una procedura diversa, con alcuni punti in comune e con molte differenze rispetto alla fotografia “chimica”. E non è meglio o peggio l’una o l’altra metodica, semplicemente sono due approcci diversi.
È abbastanza ovvio che secondo un concetto commerciale/utilitaristico la fotografia digitale ha cambiato il modo di lavorare, nel senso della velocità, della potenza del controllo di tutto il processo di produzione dell’immagine, della qualità. Sarebbe difficile tornare a lavorare in
“analogico” in quasi tutti gli ambiti della fotografia: pensate, per esempio, alla realizzazione di servizi fotografici per un matrimonio o per uno spettacolo teatrale realizzati interamente a
pellicola: chi sarebbe ancora capace di fare un simile lavoro? La difficoltà non è solo tecnica, ma anche mentale.
Ha quindi senso parlare (e praticare) la fotografia chimica?
A mio parere, esistono alcuni ambiti in cui la camera oscura si rivela vincente ancora oggi.
Partiamo dall’aspetto didattico: si tratta della storia della fotografia ed è importante conoscerla, come è importante in tutte le altre arti.
Parlando di didattica c’è un altro aspetto fondamentale legato a questo tipo di fotografia. È la necessità di pensare prima di scattare la fotografia: non vediamo il risultato in anteprima, non sappiamo “come è venuta la foto”. Dobbiamo fidarci della nostra conoscenza tecnica e della nostra visione estetica che ci ha portati a fare quella fotografia in quel modo e con quella inquadratura… ma questo lo si può vedere solo dopo la fase di sviluppo e stampa (l’attesa).
Poi c’è l’aspetto ludico, il gioco: se non l’avete mai provato non potete capire quanto sia
affascinante vedere l’immagine che si materializza su un foglio di carta immerso in una soluzione di sviluppo. Ed è affascinante anche il processo di controllo delle variabili per ottenere il risultato ottimale (tempo, temperatura, ecc.), la visione della negativa tramite il lentino di ingrandimento, la proiezione sul piano dell’ingranditore per scegliere l’inquadratura definitiva…
È un processo lungo e, come ho già detto, non si può avere fretta.
Immaginate: camera oscura, luce molto attenuata, minuti in attesa dell’esposizione o dello
sviluppo della pellicola in cui non facciamo altro che aspettare ascoltando buona musica oppure chiacchierando con chi condivide con noi l’esperienza.
Infine cito l’aspetto estetico/artistico (e commerciale). La fotografia è una forma d’arte, ma non è stato facile ottenere questo status! Agli esordi, e per una buona parte della sua storia, la fotografia
non era accettata nel sistema delle arti visive in quanto… troppo facile: come poteva essere arte un’attività che non richiedeva alcuna “intensificazione consapevole della realtà”? (libera cit. Pellizza da Volpedo).
La stessa Kodak, per pubblicizzare la Brownie, una semplicissima macchina fotografica
commercializzata nei primi 30 anni del secolo scorso, utilizzo lo slogan: “You press the button, we do the rest”, per sottolineare quanto fosse semplice fare una fotografia.
Fu a partire dalle idee di Marcel Duchamp (la “pittura-idea”, il “ready-made”) che anche la
fotografia iniziò ad essere considerata come forma d’arte. Molti artisti utilizzavano anche la
fotografia come mezzo espressivo, passando dalla concezione “artigianale” a quella di “idea” e ritornando a quella “artigianale”. L’intensificazione della realtà era data dalla manipolazione delle luci in ripresa, del punto di vista e delle prospettive e, soprattutto, dal trattamento in camera oscura (si veda, per esempio, Man Ray).
Ed ecco che semplicemente giocando con la fotografia chimica ci addentriamo nella storia
dell’Arte! Partiamo dall’idea, la “fotografiamo”, la elaboriamo nel processo di sviluppo e stampa per ottenere alla fine un’opera unica, non riproducibile in modo esatto, come è invece possibile fare nel mondo digitale.
Ed ecco che l’opera che abbiamo creato può acquisire valore anche per questa sua unicità.
Forse non un alto valore economico, ma di sicuro un valore come oggetto oltre che come idea, un oggetto tangibile, un foglio di carta che ci mostra un’immagine realizzata con argento o metalli più nobili (platino, oro), oppure ancora con metalli economici e comuni, come il ferro.
Oggetti che possono diventare regali importanti, unici, non acquistabili (notate la forza?), non riproducibili nel mondo dei social…
Come si sviluppa un negativo? Come si stampa una fotografia?
Quali sono le sostanze chimiche da utilizzare? E le attrezzature? È possibile sviluppare e stampare
a casa? Cosa sono le “antiche tecniche di stampa”?
Seguitemi nella prossima puntata, fra qualche giorno… Ci divertiremo!
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